Con la sentenza n. 12838 del 13 maggio 2025, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione è intervenuta a chiarire importanti questioni interpretative in materia di credito al consumo, con specifico riferimento ai contratti di apertura di credito regolati attraverso carte di credito c.d. “revolving”. La pronuncia si inserisce nel solco dei giudizi di rinvio pregiudiziale previsti dall’art. 363-bis c.p.c., enunciando principi di diritto destinati a orientare la giurisprudenza di merito su una tematica particolarmente complessa e di grande rilevanza pratica.
La vicenda esaminata riguarda la validità di un contratto di apertura di credito stipulato, prima del 2010, presso un esercente convenzionato con l’intermediario finanziario ma non iscritto presso l’Ufficio Italiano Cambi (UIC), come richiesto dalla normativa all’epoca vigente. In particolare, la Corte ha chiarito che, nel periodo di vigenza del d.lgs. n. 374 del 1999 e del d.m. n. 485 del 2001 – dunque prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 141 del 2010, che ha profondamente riformato il settore – non era legittima la stipula di contratti di credito revolving a tempo indeterminato presso soggetti non iscritti all’elenco dell’UIC.
La Suprema Corte ha affermato due principi di diritto di grande impatto. Anzitutto, ha dichiarato che l’apertura di una linea di credito revolving promossa e sottoscritta presso un fornitore di beni e servizi, anche se convenzionato con l’intermediario finanziario, era illecita se tale soggetto non risultava iscritto presso l’UIC. Tale iscrizione, infatti, non costituiva una mera formalità, ma rappresentava una condizione legale necessaria per la validità dell’operazione finanziaria. In secondo luogo, la Corte ha precisato che, nei casi in cui il contratto sia stato stipulato in violazione di tale requisito, si configura una nullità radicale del contratto stesso ai sensi dell’art. 1418, primo comma, del codice civile. La nullità non è sanabile, né può essere superata da eventuali successive regolarizzazioni.
Questa pronuncia assume un rilievo sistemico in quanto definisce con chiarezza l’ambito di validità di una pratica commerciale diffusissima negli anni passati, spesso veicolata presso punti vendita o negozi convenzionati che, tuttavia, non erano dotati dei requisiti previsti dalla legge. I consumatori che hanno sottoscritto contratti di questo tipo potrebbero oggi trovarsi nella condizione di contestarne la validità e, di conseguenza, la legittimità delle pretese creditorie fondate su tali rapporti.
Dal punto di vista degli operatori del diritto, la sentenza richiama l’attenzione sull’importanza del rispetto rigoroso delle condizioni soggettive richieste dalla normativa di settore per la validità degli atti. La figura del “promotore” del credito al consumo, infatti, non può essere surrettiziamente sostituita dal semplice esercente convenzionato, salvo che questo risulti iscritto nei registri previsti dalla normativa vigente al momento della stipula. L’inosservanza di tali requisiti comporta non solo irregolarità formali, ma l’invalidità sostanziale dell’intero rapporto contrattuale.
È evidente come, alla luce di questa pronuncia, potranno emergere nuovi margini di tutela per i consumatori, specialmente in procedimenti promossi per il recupero di somme derivanti da contratti revolving stipulati prima del 2010. La possibilità di sollevare l’eccezione di nullità, infatti, può incidere radicalmente sulla fondatezza delle domande creditorie avanzate dagli intermediari.

Il nostro studio segue da anni le evoluzioni normative e giurisprudenziali nel settore del credito al consumo e dell’intermediazione finanziaria. Siamo a disposizione per assistere sia consumatori che imprese nella verifica della legittimità dei contratti stipulati, con particolare attenzione alle ricadute economiche e processuali derivanti dalla dichiarazione di nullità. La sentenza n. 12838/2025 rappresenta un ulteriore strumento a disposizione degli operatori per garantire trasparenza, legalità e correttezza nei rapporti contrattuali nel delicato ambito del credito.